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domenica 28 febbraio 2010

Un argomento contro la teoria della teoria

1. Nella vita di tutti i giorni attribuiamo di continuo stati mentali alle altre persone. Ad esempio, crediamo che Michele desideri andare a dormire, che Franca creda che il treno per Torino sia in ritardo, e così via. Come ci riusciamo? Quali sono i meccanismi cognitivi che guidano le attribuzioni di stati mentali?

Secondo la teoria della teoria (TT), l’attribuzione di stati mentali si basa sulla conoscenza, presumibilmente tacita, di una teoria della mente. Cos’è una teoria della mente? E’ una teoria costituita da leggi psicologiche, ossia leggi che connettono input sensoriali, stati mentali e output comportamentali. Una legge di questo tipo è la seguente – chiamiamola legge D: se X si è ferito ad una gamba e urla e si muove convulsamente, allora X è in uno stato di dolore (Naturalmente, D è solo un toy model di una vera legge psicologica.)

2. E’ abbastanza evidente che c’è una relazione stretta tra funzionalismo e TT.

Il funzionalismo è la teoria secondo cui gli stati mentali vanno individuati in base al ruolo funzionale che occupano. Ad esempio, uno stato mentale è uno stato di dolore se e solo se è uno stato causato da un danno al corpo e che causa urla, movimenti convulsi, ecc. (La definizione è scandalosamente imprecisa, ma per i miei scopi questo è irrilevante).

Se ci pensate un secondo, vedrete che è plausibile pensare che la legge D di cui ho parlato prima sia derivata dalla definizione funzionale del dolore. Pertanto, è possibile ipotizzare questa relazione tra funzionalismo e TT: le leggi psicologiche della teoria della mente sono derivate dalle definizioni funzionali dei vari stati mentali. (In realtà, a me basta meno di questo. Mi basta che le leggi della teoria della mente siano leggi nelle quali non figura nulla di più di quanto figura nelle definizioni funzionali degli stati mentali. In due parole: sono leggi psicologiche che menzionano solo relazioni causali tra input sensoriali, stati mentali e output comportamentali).

3. Un problema classico col funzionalismo è che le definizioni funzionali degli stati mentali non sono in grado di catturarne l’aspetto qualitativo. Torniamo al dolore. Il dolore non è solo caratterizzato da un pattern di relazioni causali. Essere in uno stato di dolore significa anche provare qualcosa. Tuttavia, per dirla con Frank Jackson, ditemi tutto quello che c’è da sapere sul ruolo funzionale del dolore e “non mi avrete ancora detto nulla sulla dolorosità del dolore”.

Supponiamo che Jackson e i qualia freaks abbiano ragione. Supponiamo, in altri termini, che le definizioni funzionali lascino fuori la coscienza. Pertanto, dato che nelle leggi della teoria della mente non figura nulla di più di quanto non figuri nella definizioni funzionali degli stati mentali, anch’esse lasciano fuori l’aspetto qualitativo degli stati mentali.

Tuttavia, quando noi attribuiamo dolore, non attribuiamo solo uno stato funzionale, ma anche uno stato qualitativo. (Quando attribuiamo dolore, pensiamo anche che uno provi dolore). Pertanto, l’attribuzione di stati mentali non può essere spiegata solamente in base al possesso di una teoria della mente.

Che ne pensate?

10 commenti:

  1. Luca, Sandro mi fa fare troppi esercizi, non riesco a stare dietro alle tue discussioni, digli di assegnarmene meno ;-)

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  2. vergogna! Diro' a Sandro di darvi più esercizi, e lo obblighero' a costringervi a rispondere in maniera argomentata ai miei post! ;-)

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  3. Nonostante i Super Spartani (obiezione legittima de jure, galeotta de facto), ritengo che vi sia un'attività interpretativa (azzarderei semiotica) alla base della nostra capacità di attribuire gli stati mentali. Capacità che non è altro che il frutto di quell'insieme di strategie di apprendimento tra le quali è inserita la semantica non-verbale. Personalmente preferisco optare per un comportamentismo Skinner-Quine, molto più sobrio e funzionale, più che una teoria della mente che ama invischiarsi nel buio di quella che è, a tutti gli effetti, una scatola nera... Per accontentarmi poi del parere degli amici neurofisiologi (meglio se eliminativisti).
    La mia è una posizione certamente opinabile, in quanto presta il fianco a innumerevoli e noiose obiezioni de jure (vedi sopra) e, se accolta, metterebbe a rischio il bilancio di numerose famiglie di ex filosofi della mente. D'altronde ognuno, in qualche modo, «tiene famiglia».

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  4. ettore,

    ho delle serie difficoltà nel capire quello che hai detto. Quando hai un secondo, prova a spiegarmi almeno questi tre punti.

    (1) Cosa intendi quando dici che alla base della capacità di attribuire stati mentali c'è un'attività semiotica?

    (2) Cos'è la semantica non-verbale?

    (3) In che modo il comportamentismo riuscirebbe a spiegare l'attribuzione di stati qualitativi? Questo era il problema che avevo sollevato per la teoria della teoria. Il comportamentismo si trova in una situazione migliore a tal proposito?

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  5. Scusami l'incapacità comunicativa, allora:

    (1) Capacità di attribuire stati mentali a x = Capacità di leggere il comportamento di x;

    (2) Comunemente detta kinesics (ma forse è un termine un po' troppo abusato dai PNListi) consiste nel rintracciare una teoria del significato a partire dall'interpretazione del comportamento del corpo;

    (3) Io proprio non so cosa siano questi stati qualitativi. O meglio non riesco ad afferrare. Al massimo sparami qualche esempio.

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  6. Ettore,

    (a) C'è accordo quasi unanime in letteratura sull'idea che le attribuzioni di stati mentali si basano sull'osservazione del comportamento altrui. In qualche modo, noi riusciamo a passare dai comportamenti osservabili agli stati mentali che hanno causato tali comportamenti.

    Il problema è, appunto, capire quale sia il modo attraverso cui compiamo tale passaggio. Dire semplicemente che noi "interpretiamo" i comportamenti altrui mi sembra soltanto una riformulazione dell'explanandum. Insomma, mi sembra che tu stia semplicemente riformulando il problema, non risolvendolo.


    (b)Uno stato mentale ha un aspetto qualitativo (quale) se e solo se si prova qualcosa ad essere in quello stato.
    Il dolore mi sembra un buon esempio. Senz'altro, trovarsi in uno stato di dolore significa trovarsi in un certo stato funzionale (o, diresti tu, significa avere certe disposizioni comportamentali). Ma, oltre a questo, c'è qualcosa che si prova quando ci si trova in uno stato di dolore, ovvero la sensazione di dolorosità.La dolorosità è il quale del dolore.

    Ora, la teoria della teoria, se ho ragione, non riesce a rendere conto di come noi attribuiamo qualia. Il comportamentismo che tu sostieni è in grado di farlo?

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  7. Su (a) ora devo dire che mi si chiariscono molte cose. Per quanto riguarda la tua domanda, sui qualia, credo che il dolore si possa spiegare attraverso certe contrazioni di nervi, muscoli, attivazione o disattivazione di certe aree del cervello, l'interessato che dice «ahia». Ma credo che 'dolorosità' sia quella sommatoria di cose che ci fa dire «ahia». Sto parlando da ingenuo intendiamoci, so pochissimo di queste cose e intendo farmi un'idea un po' più specifica parlandone con te.

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  8. ettore,

    1. non capisco più come la tua posizione possa essere considerata una forma di comportamentismo. Per un comportamentista, il dolore è identico ad una serie di disposizioni comportamentali. Invece, tu parli di attivazioni di aree cerebrali. Mi sembra che stai oscillando verso la teoria dell'indentità psico-fisica.

    2. Ad ogni modo, nessuno nega che la sensazione di dolorosità dipenda (in qualche senso di "dipendere") dallo stato fisico di un organismo. Tuttavia, il problema non era capire cos'è il dolore o quale fosse la sua base di sopravvenienza, ma come uno riuscisse ad attribuire la sensazione di dolorosità agli altri a partire dall'osservazione dei loro comportamenti.
    Il comportamentista non credo riesca a spiegare tali attribuzioni, dato che nella sua teoria non c'è alcun posto riservato alle sensazioni. Queste,in quanto private, vengono eliminate in favore di comportamenti pubblicamente osservabili. In altri termini, quando un comportamentista parla di dolore menziona soltanto disposizioni comportamentali. Pertanto, mi sembra che il comportamentista abbia esattamente lo stesso problema del teorico della teoria.
    Infine, il teorico dell'indentità psico-fisica mi sembra proprio non abbia nulla da dire. A meno che uno non voglia sostenere l'ipotesi assurda che noi, per attribuire dolore, dobbiamo per forza scannerizzare il cervello della gente.

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  9. 1. In effetti la tua lettura delle mie, ahimè, confuse idee è calzante. Sono inoltre molto influenzato dalle posizioni di Churchland. A tempo perso mi sto documentando per avere le idee più chiare in merito;

    2. Perché l'idea di 'scannerizzare' il cervello dovrebbe risultare così assurda?

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  10. Non sostenevo che è assurdo fare, poniamo, un fMRI, ma solo che sia necessario farla per riuscire ad attribuire uno stato mentale a qualcuno.

    Se Gianni asserisce "Roma è in Italia", e io credo che sia sincero, gli attribuirò la credenza che Roma è in Italia. Per il momento, tale attribuzione di credenza non può essere fatta tramite una scansione del cervello. Ma, supponendo che un giorno sarà possibile, cosa di cui dubito, resta il fatto che tale scansione non è un mezzo necessario per tale attribuzione.

    Questo, ovviamente, non vale solo per le credenze ma, presumibilmente, per tutti gli stati mentali.

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